franco longo avvocato


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Il nuovo articolo 709ter C.P.C.




PROBLEMI INTERPRETATIVI DI NATURA PROCESSUALE E SOSTANZIALE.

TRIBUNALE DI PISA
DECRETO 24 GENNAIO 2008.

L'Autore esamina gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali formatisi in ordine ai problemi interpretativi sul piano sia procedurale che sostanziale emersi dal contenuto dell'art. 709 ter cpc introdotto con la legge 54/2006 prendendo quindi posizione in ordine ad essi.


1) ASPETTI E PROBLEMI PROCESSUALI: IN PARTICOLARE LA COMPETENZA E LE IMPUGNAZIONI.
Il nuovo procedimento contenuto nel codice di rito (art. 709 ter) introdotto con la legge 54/2006 volto a regolamentare le controversie insorte tra i genitori in ordine all'esercizio della potestà e alle modalità dell'affidamento e a sanzionare i medesimi in caso di gravi inadempienze e violazioni ha suscitato grande attenzione (a anche sorpresa se non stupore sotto certi aspetti) e sollecitato tantissimi contributi e opinioni disparate . Infatti tale art. 709 ter cpc si caratterizza da un lato per talune previsioni da considerarsi una novità per il diritto di famiglia e comunque esprimenti una scelta forte e rigorosa da pare del legislatore (ci si riferisce alle conseguenze in caso di "gravi" violazioni), dall'altro lato in quanto, soprattutto in relazione agli aspetti procedurali, ma non solo, le norme in esso contenute si appalesano approssimative e fumose, aprendo così il campo ad una attività interpretativa non affatto agevole.
Andando per ordine, occorre innanzi tutto approfondire il tema della competenza del Giudice. Il primo comma dell'art. 709 ter cpc dispone che "per la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all'esercizio della potestà genitoriale o delle modalità di affidamento è competente il giudice del procedimento in corso".Lasciando per un momento da parte la parte successiva di tale primo comma, la prima domanda sorta al riguardo è: se i giudizi di separazione e divorzio sono ancora nella fase istruttoria quale giudice del procedimento in corso deve intendersi il Tribunale in composizione collegiale (essendo il Tribunale in tale composizione competente per i giudizi di separazione e divorzio) o il giudice istruttore? O meglio: per giudice del procedimento in corso deve (sempre) intendersi il giudice titolare della controversia (il collegio)? Per risolvere tale incertezza occorre necessariamente tenere conto anche del contenuto dell'ultimo comma dell'articolo in esame il quale dispone che "i provvedimenti assunti dal giudice del procedimento sono impugnabili nei modi ordinari".
Ad avviso di chi scrive la competenza in parola non può che essere collegiale. Facendo riferimento al dettato normativo, per quanto, in generale, incompleto e carente, come anticipato, proprio la previsione in ordine alla impugnazione dei provvedimenti del giudice del "procedimento" appare decisiva. Infatti, solo in relazione alle pronunce del collegio sono previsti precisi mezzi e forme di impugnazione, mentre le ordinanze del giudice istruttore sono generalmente non impugnabili (peraltro revocabili e modificabili).
Parte della dottrina ha invece optato per la competenza del giudice istruttore (nel caso in cui i procedimenti di separazione e divorzio non siano conclusi o non siano entrati nella fase decisoria) offrendo argomentazioni che appaiono in certi casi un po' forzate. Tale dottrina arriva a ricavare una forma di impugnazione dei provvedimenti in parola se emessi dal giudice istruttore (ma, sembra, al solo scopo di giustificare e in qualche modo di "rispettare" la previsione dell'ultimo comma; altrimenti di essa bisognerebbe ignorarne l'esistenza e decretarne una abrogazione di fatto - e si tratta di una delle poche disposizioni chiare e precise - ) e indica poi come sia più opportuno affermare la competenza del giudice istruttore considerando la maggior snellezza e semplicità di forme e, quindi, la maggior celerità; aspetti che difetterebbero nel caso si seguisse la strada della competenza collegiale .
Va però evidenziato che si tratta di un procedimento nuovo e autonomo e di una materia molto delicata che comporta anche la possibilità di sanzioni e condanne aspre e definitive. Occorre bilanciare le diverse situazioni: è vero che la competenza del giudice istruttore garantirebbe maggior semplicità e celerità, ma la delicatezza dei conflitti e delle eventuali conseguenze sembrano richiedere un esame più strutturato e composito tipico dell'organo decisionale in composizione collegiale. Sempre privilegiando una interpretazione di tipo letterale e teleologica va inoltre osservato che ben il legislatore avrebbe potuto nella norma in questione fare espressamente riferimento al giudice istruttore (o anche al giudice istruttore) come ha fatto in tantissime altre disposizioni sparse nel codice .Dalla norma in questione non si ricava affatto pertanto "una forte rivalutazione della figura e delle funzioni del giudice istruttore"
Una competenza frazionata e, quindi, diversa, a seconda della fase processuale in cui si trovano i giudizi di separazione e divorzio non appare poi una soluzione logica e giustificabile .
Esaminando la giurisprudenza sul punto emergono atteggiamenti differenti e sembra prevalere la soluzione opposta a quella qui sostenuta .
Non appaiono infine applicabili in relazione, in particolare, ai mezzi di impugnazione, le norme del procedimento cautelare uniforme. Più precisamente, se si optasse per la competenza del giudice istruttore, non si potrebbe proporre reclamo avverso la decisione di quest'ultimo ai sensi dell'art. 669 terdecies cpc in quanto non sussiste la natura cautelare del procedimento e del relativo provvedimento e, quindi, non potrebbe operare nella specie la clausola di compatibilità. Infatti i provvedimenti in questione non sono emanati in funzione della sentenza definitiva ma regolamentano la situazione conflittuale di un dato momento, in presenza di soggetti minorenni essi possono essere anche assunti di ufficio e possono essere modificati a prescindere della sopravvenienza di circostanze diverse .
La domanda ex art. 709 ter cpc potrà essere proposta al giudice in composizione collegiale (o al giudice istruttore a seconda dell'orientamento dei singoli uffici giudiziari) durante i procedimenti di separazione e divorzio, successivamente nel corso dell'eventuale appello, nel corso altresì di una procedura ex art. 710 cpc o ex art. 9 legge divorzio e in sede di reclamo avverso i provvedimenti di tali procedure ex art. 710 e 9. Se non vi è (più) in corso alcun procedimento si potrà agire ai sensi dell'art. 710 cpc richiamato dall'art. 709 ter e competente territorialmente è il giudice del luogo di residenza (effettiva e abituale) del minore .

2) ASPETTI E PROBLEMI SOSTANZIALI: IN PARTICOLARE LE SANZIONI E IL RISARCIMENTO DEL DANNO. IL CASO DI SPECIE.
Esaminando il contenuto dell'art. 709 ter cpc emergono incertezze e dubbi interpretativi molto importanti. A fronte di previsioni "nuove" e "dirompenti" (per il diritto di famiglia) si evidenzia viceversa carenza di regolamentazione e specificazioni. Stando così le cose spetta alla giurisprudenza (come sta già facendo) magari influenzata da qualche opinione dottrinale, scrivere regole complete e, quindi, in qualche modo, integrare e completare il dettato normativo.
L'aspetto più rilevante e per taluno sorprendente di questa nuova disciplina è la previsione di un sistema articolato di sanzioni e conseguenze anche di tipo risarcitorio che il giudice può applicare nei confronti di quel genitore gravemente inadempiente con riferimento all'esercizio della potestà e alle modalità dell'affidamento. In particolare, è previsto oltre alla condanna a una sanzione amministrativa pecuniaria e all'ammonimento, il risarcimento dei danni a carico di uno dei genitori nei confronti del minore o a carico di uno dei genitori nei confronti dell'altro. Molti operatori del diritto hanno apertamente manifestato dissenso avverso tali previsioni ritenendo che esse in fine dei conti altro non comportano che ulteriori inasprimenti e liti tra le parti e, quindi, tra i genitori. Probabilmente, il legislatore, prevedendo tali previsioni, è stato influenzato da quell'orientamento giurisprudenziale dell'ultimo decennio che ha consentito l'ingresso della responsabilità civile nella roccaforte del diritto di famiglia. In tali controversie esaminate dalla giurisprudenza si è riconosciuto al di là della conseguenze tipiche previste dalla disciplina del diritto di famiglia (addebito, assegno di mantenimento, sequestro dei beni del coniuge) il risarcimento del danno biologico e non patrimoniale a favore in certi casi del coniuge e in altri della prole in presenza di gravi violazione dei doveri coniugali e genitoriali. Tutto ciò facendo riferimento ai principi fondamentali della persona di rango costituzionale . Al di là di ogni umore e considerazione resta il dettato normativo in esame che prevede tali conseguenze in caso di gravi inadempienze o atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell'affidamento. E si pongono i seguenti problemi: le sanzioni in questione possono essere applicate anche d'ufficio dal giudice o solo in presenza di una domanda specifica? Può il giudice in presenza di una domanda specifica applicarne altre e più aspre? O vale il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 cpc)? E ancora: il risarcimento del danno può essere solo quello non patrimoniale o anche quello patrimoniale? Le gravi inadempienze possono anche riguardare aspetti economici come ad esempio il versamento dell'assegno di mantenimento? Che natura hanno tali sanzioni ? Ve ne sarebbero molte altre domande da porsi, come ad esempio se le condizioni precedentemente stabilite possono essere modificate ex art. 709 ter cpc solo in caso di gravi inadempienze o a prescindere da queste. Limitandosi in questa sede a esaminare i sopra riportati aspetti di incertezza si possono trarre le seguenti conclusioni. Ad avviso di chi scrive occorre una domanda specifica per ottenere eventualmente un risarcimento del danno; ciò in ossequio al principio della domanda che informa il diritto processuale civile e considerando che il danno deve comunque essere lamentato, esplicitato e provato (anche presuntivamente e determinato in via equitativa) anche in relazione ai requisiti richiesti dall'art. 2043 cc in tema di responsabilità extracontrattuale.
Conseguentemente, il giudice non può disporre risarcimenti diversi e superiori a quelli richiesti.
Si ritiene invece che il giudice possa d'ufficio comminare la sanzione (definita dall'art. 709 ter cpc espressamente amministrativa) pecuniaria - essa ha carattere punitivo - anche in carenza di domanda e altresì quella dell'ammonimento che ha scarso rilievo concreto e una funzione più di avvertimento a rispettare le regole in questione.
Nessun particolare dubbio poi che la violazione delle regole possa riguardare anche aspetti economici e, in particolare, irregolarità con riferimento al versamento dell'assegno di mantenimento stabilito . Dalla legge non si ricava tale eccezione, si parla delle modalità dell'affidamento e delle relative regole e, quindi, va compresa anche la prestazione dell'assegno di mantenimento che peraltro ha un valenza fondamentale in relazione al minore in quanto essa evidentemente consente il soddisfacimento dei bisogni del minore e una crescita il più possibile equilibrata. In questo caso una delle parti può chiedere il recupero delle somme non versate dall'altra e/o il rimborso di altre sostenute in via esclusiva ingiustamente o può comunque domandare il risarcimento del danno patrimoniale? In linea di massima si ritiene di dare una risposta affermativa a questo quesito qualora si tratti di pregiudizi e perdite collegati direttamente alla grave inadempienza o agli atti pregiudizievoli in questione ex art. 709 ter cpc. E poi occorre considerare che tale soluzione comporta una giustizia più concentrata con riferimento in particolare al principio dell'economia processuale. Altrimenti occorrerebbe promuovere un'altra procedura ordinaria per chiedere la condanna ai pregiudizi patrimoniali. La legge peraltro non esclude i danni patrimoniali, parlando solo di danni senza specificazione. In senso contrario si potrebbe però opporre che la procedura in questione necessita di un'attività istruttoria limitata e non troppo articolata, dispendiosa e lunga (si pensi se ad esempio si dovessero acquisire prove orali o consulenze tecniche) 1.
Passando ad esaminare il caso trattato dal Tribunale di Pisa il quale ha optato per la competenza del collegio per quanto riguarda le procedure ex art. 709 ter cpc, nella motivazione del decreto preliminarmente tale Tribunale effettua interessanti considerazioni sulla competenza territoriale del giudice e sui rapporti tra l'art. 709 ter cpc e l'art. 710 cpc, affermando che una volta terminata la procedura di separazione e divorzio per la modifica delle condizioni si può agire indistintamente ex art. 709 ter cpc o art. 710 cpc peraltro, quest'ultimo, richiamato dallo stesso art. 709 ter che indica per le procedure ex art. 710 cpc quale giudice territorialmente competente quello del luogo di residenza del minore che evidentemente deve essere la residenza effettiva, abituale, in senso non formale, quindi, ma nel senso di dimora. Nel merito i giudici pisani hanno fatto puntuale applicazione delle norme e dei principi sull'affidamento condiviso affermando che pur sussistendo in capo ai genitori la libertà di trasferirsi e cambiare residenza, essendovi un figlio minore tale trasferimento non può essere effettuato come scelta unilaterale trattandosi di aspetto fondamentale per la vita e l'interesse del minore, da affrontare quindi di comune accordo anche con il genitore presso cui non è collocato il minore. Tale atteggiamento della madre della minore è quindi da qualificarsi come violazione grave delle regole e delle modalità dell'affidamento e i giudici hanno provveduto a modificare le condizioni, confermando l'affido condiviso, ma stabilendo la collocazione presso il padre ed eliminando, quindi, l'obbligo di quest'ultimo di versare la somma mensile a titolo di mantenimento della minore al coniuge. Quanto alle sanzioni la domanda del padre era diretta alla condanna alla sanzione pecuniaria e al risarcimento del danno subito dallo stesso e dalla minore. I giudici toscani hanno comminato una sanzione pecuniaria contenuta nell'ammontare e hanno respinto la domanda di risarcimento del danno in quanto"… stante il breve lasso temporale intercorso e stante la possibilità, con un comportamento corretto in sede di attuazione del presente provvedimento, di arginare le conseguenze della condotta perpetrata, deve escludersi l'attuale configurabilità di un danno in capo al ricorrente e alla minore". Su questo ultimo punto però si osserva che dalla stessa parte di motivazione in realtà risulta che conseguenze pregiudizievoli ve ne sono state e che esse potranno essere arginate, forse, se la madre avrà un comportamento corretto e la vicenda ha sicuramente comportato un patimento e un disagio in capo al padre e alla figlia, magari non enorme, non protratto nel tempo, ma un patimento, disagi e un pregiudizio non patrimoniale. Per questo, forse, un risarcimento poteva essere riconosciuto, magari non elevato anche perché il lasso temporale non è stato appunto lungo e appaiono sussistenti gli elementi dell'ingiustizia, della colpa e del nesso causale .
























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